domenica 30 settembre 2012

E Malatesta, "Il gradualismo rivoluzionario" (1925)

(titolo originale Gradualismo, da "Pensiero e Volontà", 1 ottobre 1925.)
 
Nelle polemiche che sorgono tra gli anarchici sulla tattica migliore per giungere o avvicinarsi alla realizzazione dell’anarchia e sono polemiche utili, anzi necessarie, quando sono ispirate alla mutua tolleranza ed alla mutua fiducia e non trascendono in odiose questioni personali avviene sovente che gli uni in tono di rimprovero chiamano gli altri gradualisti e questi respingono la qualifica come se fosse un’ingiuria. Ed intanto il fatto e che, nel senso proprio della parola, gradualisti siamo tutti, e tutti, sia pure in modi diversi, dobbiamo esserlo per la logica stessa dei nostri principi.
E’ vero che certe parole, specialmente in politica, cambiano continuamente di significato e spesso ne assumono uno contrario a quello originale, logico e naturale. Gioverebbe mettere un freno a questo sistema di usare le parole in un senso diverso dal loro proprio, che è fonte di tante confusioni e tanti malintesi. Ma chi potrebbe riuscirvi, specie quando il cambiamento e prodotto dall’interesse che hanno i politicanti a coprire con buone parole i loro fini malvagi?
Potrebbe darsi dunque che la parola gradualista, applicata agli anarchici, finisse coll’indicare davvero quelli che colla scusa di fare le cose gradualmente, a misura che diventano possibili, finiscono col non muoversi più o col muoversi in una direzione opposta a quella che conduce all’anarchia. E allora bisognerebbe respingere il nome; ma la cosa resterebbe vera lo stesso, cioè che tutto nella natura e nella vita procede a gradi e che, applicando al caso nostro, l’anarchia non può venire che poco a poco.
L’anarchismo, dicevo, deve essere necessariamente gradualista. Si può concepire l’anarchia come la perfezione assoluta, ed è bene che quella concezione resti sempre presente alla nostra mente, quale faro ideale che guida i nostri
passi. Ma è evidente che quell’ideale non può raggiungersi d’un salto, passando di botto dall’inferno attuale al paradiso agognato. I partiti autoritari, quelli cioè che credono morale ed espediente imporre colla forza una data costituzione sociale, possono sperare (vana speranza del resto!) che, quando si saranno impossessati del potere, potranno a forza di leggi, decreti … e gendarmi sottoporre tutti e durevolmente al loro volere.
Ma una tale speranza ed un tale volere non sono concepibili negli anarchici, i quali non vogliono nulla imporre salvo il rispetto della liberta e contano per la realizzazione dei loro ideali sulla persuasione e sui vantaggi sperimentati della libera cooperazione. Ciò non significa che io creda (come a scopo polemico mi ha fatto dire un giornale riformista poco informato o poco scrupoloso) che per fare l’anarchia bisogna aspettare che tutti siano anarchici. Io credo al contrario
e perciò sono rivoluzionario che nelle condizioni attuali solo una piccola minoranza favorita da circostanze speciali possa arrivare a concepire l’anarchia, e che sarebbe una chimera lo sperare nella conversione generale se prima non si cambia l’ambiente, nel quale prosperano l’autorità ed il privilegio. Ed appunto per questo credo che bisogna, appena è possibile, cioè appena si sia conquistata la liberta sufficiente e vi sia in un dato luogo un nucleo di anarchici abbastanza forte per numero e capacita da bastare a se stesso ed irradiare intorno a sé la propria influenza, bisogna, dico, organizzarsi per applicare l’anarchia o quel tanto di anarchia che diventa mano a mano possibile.
Poiché non si può convertire la gente tutta in una volta e non si può isolarsi per necessità di vita e per l’interesse della propaganda bisogna cercare il modo di realizzare quanto più di anarchia è possibile in mezzo a gente che non è anarchica o lo è in gradi diversi.
Il problema dunque non è se bisogna o no procedere gradualmente, ma quello di cercare quale è la via che più rapidamente e più sinceramente conduce all’attuazione dei nostri ideali. Oggi in tutti i paesi del mondo la via è preclusa dai privilegi conquistati attraverso una lunga storia di violenze e di errori, da certe classi, che oltre la supremazia intellettuale e tecnica che deriva loro da quei privilegi, dispongono per difendere la loro posizione della forza bruta assoldata nelle classi soggette e ne usano, quando occorre, senza scrupoli e senza limite. Perciò è necessaria una rivoluzione, la quale distrugga lo stato di violenza nel quale oggi si vive e renda possibile la pacifica evoluzione verso sempre maggiore libertà, maggiore giustizia, maggiore solidarietà
Quale dovrebbe essere la tattica degli anarchici prima, durante e dopo la rivoluzione? Quello che sarebbe necessario fare prima della rivoluzione per prepararla ed attuarla la censura forse non lo lascerebbe dire; ed in ogni modo e sempre un argomento che si tratta male in presenza del nemico. Ci sarà però lecito il dire che bisogna restare sempre se stessi, propagare ed educare il più possibile, fuggire ogni transazione col nemico e tenersi pronti, almeno spiritualmente, per
afferrare tutte le occasioni che si possono presentare.
Durante la rivoluzione?
Incominciamo col dire che la rivoluzione non la possiamo fare noi soli; e non sarebbe, a parte la questione della forza materiale, nemmeno desiderabile il farla da soli; perché se non si mettono in movimento tutte le forze spirituali del paese e con esse tutti gl’interessi e tutte le aspirazioni palesi o latenti che stanno nel popolo, la rivoluzione sarebbe un aborto. E nel caso, poco probabile, che vincessimo da soli, ci troveremmo nell’assurda posizione o di imporsi, comandare, costringere gli altri e quindi cessare di essere anarchici ed uccidere la rivoluzione stessa col nostro autoritarismo, oppure di fare per viltade il gran rifiuto, cioè ritrarci indietro e lasciare che altri profitti dell’opera nostra per scopi opposti ai nostri.
Bisognerebbe dunque agire di conserva con tutte le forze progressiste esistenti, con tutti i partiti d’avanguardia ed attirare nel movimento, sommuovere, interessare le grandi masse, lasciando che la rivoluzione, della quale noi saremmo un fattore fra gli altri, produca quello che può produrre. Ma non per questo dovremmo rinunziare al nostro scopo specifico: al contrario dovremmo tenerci ben uniti tra noi e ben distinti dagli altri per combattere in favore del nostro programma: abolizione del potere politico ed espropriazione dei capitalisti. E se, nonostante i nostri sforzi, riuscissero a costituirsi nuovi poteri che vogliono ostacolare l’iniziativa popolare ed imporre il loro volere, noi dovremmo non parteciparvi, non riconoscerli mai cercare che il popolo rifiuti loro i mezzi per governare, cioè i soldati e le contribuzioni, fare in modo ch’essi restino deboli … fino al giorno in cui si potrà abbatterli del tutto. In tutti i casi reclamare ed esigere, magari colla forza, la nostra piena autonomia ed il diritto ed i mezzi per organizzarci a modo nostro ed esperimentare i metodi nostri.
E dopo la rivoluzione, cioè dopo la caduta del potere esistente ed il trionfo definitivo delle forze insorte?
Qui entra veramente in campo il gradualismo. Bisogna studiare tutti i problemi pratici della vita: produzione, scambio, mezzi di comunicazione, relazioni fra gli aggruppamenti anarchici e quelli che vivono sotto un’autorità, tra collettività comunistiche e quelli che vivono in regime individualistico, rapporti tra città e campagna, utilizzazione a vantaggio di tutti delle forze naturali e delle materie prime, distribuzione delle industrie e delle colture secondo le condizioni naturali dei vari paesi, istruzione pubblica, cura dei fanciulli e degl’impotenti, servizi igienici e medici, difesa contro i delinquenti comuni e quelli più pericolosi, che tentassero ancora di sopprimere la libertà degli altri a vantaggio di individui o di partiti, ecc, ecc. E d’ogni problema preferire quelle soluzioni che non solo sono economicamente più
convenienti, ma che rispondono meglio al bisogno di giustizia e di libertà e lasciano più aperta la via ai futuri miglioramenti, Nel caso, anteporre la giustizia, la libertà, la solidarietà ai vantaggi economici.
Non bisogna proporsi di tutto distruggere credendo che poi le cose si aggiusteranno da loro. La civiltà attuale e frutto di una evoluzione millenaria ed ha risolto in qualche modo il problema della convivenza di milioni e milioni di uomini, spesso affollati sopra territori ristretti, e quello della soddisfazione di bisogni sempre crescenti e sempre più complicati. I suoi benefici sono diminuiti e per la gran massa quasi annullati dal fatto che l’evoluzione si è compiuta sotto la pressione dell’autorità e nell’interesse dei dominatori; ma se si toglie l’autorità ed il privilegio, restano sempre i vantaggi acquisiti, i trionfi dell’uomo sulle forze avverse della natura l’esperienza accumulata dalle generazioni estinte, le abitudini di socievolezza contratte nella lunga convivenza e negli esperimentati benefici del mutuo appoggio e sarebbe stolto, e del resto impossibile, rinunziare a tutto questo.
Noi dobbiamo dunque combattere l’autorità ed il privilegio, ma profittare di tutti i benefici della civiltà; e nulla distruggere di quanto soddisfi, sia pur malamente, ad un bisogno umano se non quando abbiamo qualche cosa di meglio da sostituirvi.
Intransigenti contro ogni imposizione ed ogni sfruttamento capitalistico, noi dovremo essere tolleranti con tutte le concezioni sociali che prevalgono nei vari raggruppamenti umani, purchè non ledano la libertà ed il diritto uguale degli altri; e contentarci di progredire gradualmente a misura che si eleva il livello morale degli uomini e crescono i mezzi materiali ed intellettuali di cui dispone l’umanità facendo, questo s’intende, il più che possiamo con lo studio, il lavoro, la propaganda, per affrettare l’evoluzione verso ideali sempre più alti.
Io ho qui sopra prospettato dei problemi più che delle soluzioni; ma credo di avere esposto succintamente i criteri che debbono guidarci nella ricerca e nell’applicazione delle soluzioni, le quali saranno certamente varie e variabili a seconda delle circostanze ma dovranno sempre uniformarsi, per quanto dipende da noi, ai principi basilari dell’anarchismo: nessun comando dell’uomo sull’uomo, nessuno sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo.
Ai compagni tutti il compito di pensare, studiare, prepararsi e farlo sollecitamente ed intensamente, perché
i tempi sonodinamicied occorre tenersi pronti per ciò che può accadere.

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